Davide Morelli - Il fallito




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Il fallito

All'improvviso scorgo la sua sagoma nella calca. Scanso i turisti. Mi avvicino e lo saluto. Evito il suo sguardo inquisitore. Osservo il marmo, gli archi e le loggette della facciata del Duomo.
Mi volto un attimo e scruto il buffo trenino con le gomme, che trasporta soprattutto cinesi in gita fino al ristorante per l'appunto cinese. Rifletto sul fatto che questi edifici rappresentano tutti i periodi dell'esistenza dei cristiani: la nascita (il Battistero), la vita adulta (il Duomo), la morte (il Camposanto). Almeno così mi ha detto un mio amico una volta.

Penso per qualche istante ai bancarellai che vendono souvenir  e ai vigili che stanno sempre lì per evitare attentati terroristici. Medito sulle innumerevoli scene di vita quotidiana in questa piazza.
Mi metto a pensare a come noi esseri umani percepiamo il tempo. Noi viviamo una realtà caratterizzata dall'eterogeneità degli istanti.
Ogni istante è diverso dagli altri perché di volta in volta cambiano il contesto, la situazione, la condizione psicologica. Probabilmente la nostra percezione del tempo è un flusso continuo che non si può in alcun modo scomporre né interrompere. Quindi lo guardo in faccia. Il volto totalmente inespressivo. È un incontro del tutto casuale.
Non mi ricordo più nemmeno per quale dissapore o divergenza smettemmo di frequentarci.

Avevo comunque avuto notizie dei suoi successi, del suo matrimonio e della nascita dei suoi figli da un amico in comune. Ora è perfettamente integrato.
Guardo i suoi abiti firmati. Nella mano destra tiene le chiavi della macchina. Vedo che è una macchina di lusso. Nell'altra mano ha un telefonino costoso. Conosco alla perfezione le sue contraddizioni: le sue idee progressiste che si mischiano con un darwinismo socio-economico d'antan e con il suo perseguire gli status symbols e le mode del momento. Mi stringe la mano sudaticcia debolmente.
Vedo che ha una rosa tatuata sul collo che tempo fa non aveva. Ha anche delle rughe sulla fronte. È stempiato ormai ma in perfetta forma fisica, nonostante faccia una vita sedentaria a causa della professione. Ha più un fisico da bersagliere che da imprenditore. È tutto molto curato, anche le sopracciglia. Mi sembra un po' nervoso. Ha le pupille dilatate. Non so come mai è solo. Esordisce ironicamente. So che mi devo aspettare le sue battute al vetriolo perché lui è l'uomo arrivato ed io il fallito su tutti i fronti. So che è animato da rivalsa e che vuole ferirmi interiormente.  Mi chiede senza fronzoli e caustico se ho trovato lavoro, se ho una ragazza e se scrivo ancora inutilmente.
Gli rispondo che non è cambiato niente dall'ultima volta che ci vedemmo e che in mancanza di meglio continuo a scribacchiare, a gigioneggiare. Mi domanda perché mi ostini a sacrificarmi in nome di una parvenza d'espressione artistica, che non verrà mai retribuita perché alla nostra età i giochi sono fatti ormai e afferma poi che sono altri i modi di campare.

Gli dico che in fondo scrivere è una delle poche cose che mi resta e che mi mantiene vitale per uno strano meccanismo di compensazione. Lui sorride e sarcastico controbatte che sono pochi coloro che nell'arte approdano ad un poco di verità umana. Poi sentenzia che anche gli artisti che raggiungono il successo sono anche essi dei falliti perché non sono niente rispetto a chi salva vite umane, rispetto a chi crea posti di lavoro e rispetto a chi si guadagna il pane travagliando.
Continua sostenendo che "L'arte dell'ozio" di Hesse è un libro estremamente dannoso e che ci vorrebbe più calvinismo nella nostra penisola. Quindi afferma che la cultura umanistica è la rovina dell'Italia. Infine mi dice che gli unici veramente furbi sono gli autori di best seller e che uno come me non sarà mai in grado di scrivere un romanzo. Mi metto a pensare che mi piacerebbe scrivere un romanzo ma forse ci vuole troppo enciclopedismo perché in un romanzo si intrecciano la molteplicità dei temi trattati, la polivalenza dei simboli, la complessità esistenziale e psicologica dei personaggi.

Mi piacerebbe scrivere un romanzo in cui il protagonista è sempre alla ricerca di un altrove, che lo faccia evadere da schemi mentali abituali e da angosce che lo assillano. Un romanzo sull'ignoto, sul senso dell'ineffabile. Oppure un romanzo in cui il protagonista manifesta la sua partecipazione emotiva ai drammi del mondo e la sua meraviglia di fronte agli orrori quotidiani.
Oppure un romanzo sulla frammentarietà dei pensieri, sull'inafferrabilità del vissuto e l'incongruenza tra memoria e vita. Ma in fondo penso che sarebbe una fatica inutile e senza alcun ritorno economico, destinata al fallimento come tutti i miei progetti. Lui aspetta che dica qualcosa. Io rispondo che non so se è colpa mia se non trovo uno straccio di lavoro. Mi dice che ho sbagliato a ritirarmi socialmente, a perdere amicizie perché il lavoro si ottiene anche per conoscenze e pubbliche relazioni.
Quindi cambia totalmente discorso e afferma che Pisa la notte non è più vivibile perché è piena di drogati. Io penso che il fenomeno della droga sia antico.
Gli sciamani ad esempio usavano le droghe per entrare in contatto con gli dei. Più recentemente artisti come Baudelaire, Burroughs, Huxley utilizzarono le droghe per scardinare le porte della percezione. Nel periodo della controcultura Leary ed altri furono accaniti sostenitori dell'uso di LSD e crearono una sorta di filosofia psichedelica.

Oggi l'uso della droga  non è più ricerca di conoscenza nè un modo per espandere la coscienza, ma una piaga sociale suicida per molti. Ricordo solo a tale proposito la rete capillare di distribuzione delle droghe grazie a cui gli adolescenti possono trovare ogni tipo di dose ad ogni angolo di strada. Sociologi, psicologi, psichiatri, filosofi, medici si sono interrogati su questo aumento di diffusione di droghe nella nostra società post-industriale, apparentemente evoluta. Rispetto al passato non sono aumentati solo i tossicodipendenti ma anche i consumatori occasionali. Questo aumento di consumo è stato documentato da ricerche, che hanno analizzato l'acqua delle fogne (dato che molta droga viene eliminata dallo scarico dei water) e individuato delle tracce di cocaina in gran parte delle banconote circolanti. Quindi non penso più a niente. Osservo il cielo sgombro da nuvole e infuocato al tramonto. Poi abbasso lo sguardo, che si perde tra la moltitudine di fili d'erba.
Quindi guardo in alto di nuovo. I piccioni compiono i loro voli incuranti e indifferenti al viavai frenetico. Mi guardo attorno. Persone di tutte le età e di tutto il mondo rimangono estasiate, imbambolate o spaesate di fronte alle meraviglie artistiche. C'è un costante rumore di fondo.

In molti si fanno la foto. Per qualche istante rimaniamo in silenzio. Forse ha esaurito i suoi argomenti. Io so che vorrebbe ancora infierire e sostenere che la mia vita non ha alcun senso. Ma in fondo chi può dirlo? Anche l'esistenza apparentemente più insensata può da un giorno all'altro acquistare significato. 
Restano solo nell'aria il brulichio della gente, il vocio di comitive di studenti guidati più dalla passione amorosa che dall'ammirazione per quella celebre piazza.
Un tempo anche noi due adolescenti andavamo in quella piazza per guardare e corteggiare ragazze.
Non ci interessava minimamente che quel luogo era anche un grande crocevia dell'arte e dell'umanità.
Un tempo ormai immemorabile quando tutto era da fare e tutti e due eravamo degli incompiuti: tutti e due in crisalide. Lui però è diventato farfalla ed io non ho compiuto tutta la metamorfosi.
È inutile che io recrimini o che mi metta a pensare ai miei demeriti e ai suoi meriti. Lui allora era affabile e non aveva le certezze di adesso che ha una posizione.
Un tempo le nostre discussioni erano fatte da un insieme di intuizioni, salti logici, riferimenti culturali che cercavano di sorreggere le tesi proposte. Un tempo ognuno cercava di parlare all'animo altrui. Ora è completamente differente; ora ha quel che un tempo chiamavano la luna nel pozzo.  Un tempo io ero il suo antagonista. Ora forse si sono invertiti i ruoli.
Ma perché dovrei invidiarlo? Non è tempo di bilanci esistenziali. Non invidio sua moglie, i suoi figli, il suo lavoro, il suo benessere. Forse invidio solo le sue certezze. Ma forse lui invidia la mia libertà e i miei dubbi. Chi può veramente dirlo cosa alberga davvero nell'animo umano e cosa cova in segreto nel proprio intimo un uomo arrivato o un fallito? Sua moglie gli vorrà bene veramente?
E i suoi figli? E i suoi amici saranno veramente tali? Ci congediamo.

Tra un mese è Pasqua e sono contento di non averci litigato e di aver evitato incomprensioni. Comunque da domani eviterò i luoghi troppo affollati, anche se familiari. Mi assale la nostalgia quando in quei posti della mia adolescenza mi imbatto in amici di un tempo ormai lontano. Le persone cambiano.
È bene che me lo metta in testa ed io le preferisco come erano un tempo. Spesso infatti gli anni non portano maturità e saggezza. Di certo l'innocenza e la curiosità sono perdute per sempre. Di un'altra cosa sono sicuro: anche se un personaggio così avesse la possibilità di darmi lavoro certamente non me lo darebbe. So perfettamente che ha sempre odiato il mio modo di essere.
Comunque non rimugino su quel che ha detto. Ci sono cose che non si possono spiegare con la sola logica deduttiva. In questo incontro non c'è stato solo il detto ma anche il non detto, che forse ha prevalso. Qualsiasi relazione tra soggetto e soggetto risente anche di una certa psichicità.
Quando io incontro un altro non solo lo vedo, lo ascolto, lo capisco ma lo vivo anche inconsciamente.
Comunque un altro giorno è passato. Tra poco mi perderò nel dedalo delle vie del centro.
Aspetto che calino le ombre. Aspetto i riverberi dei lampioni. Aspetto che scenda la notte e la luce fievole della luna sia attrice protagonista in questo cielo limpido e tra poco stellato. Forse andrò a bermi una birra seduto sulle spallette dell'Arno sul cui specchio saranno riflesse le luci della città. Cammino e mi metto a pensare che ormai sono un individuo assurdo.  Infine rifletto sul fatto che forse la filosofia e la letteratura non sono inutili: male che vada sono consolatorie. Si pensi soltanto a Dante esiliato dai suoi concittadini e a Dostoevskij condannato a morte. Non voglio di certo paragonarmi assolutamente a loro, ma anche loro erano dei falliti nella loro epoca.



Davide Morelli

Davide Morelli nasce a Pontedera nel 1972. Si è laureato in psicologia con una tesi sul mobbing. Alcuni suoi testi sono apparsi su "Nazione indiana", "Poetarum silva", "La mosca", "Il filo rosso", "Nugae", "Scuola di poesia" (rubrica del quotidiano "La stampa"), "Poesia da fare", " La clessidra", "Il segnale", "Inverso", "Osservatorio poetry review" (rivista di poesia italiana della Columbia University). Visualizza Biografia
Davide Morelli - Il fallito Davide Morelli - Il fallito Reviewed by Ilaria Cino on giugno 30, 2017 Rating: 5

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