Antonio Croce - Ogni stagione dà un frutto diverso




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Ogni stagione dà un frutto diverso

"Ma cosa vuole lei da me!", mi dice un paziente oncologico. "La mia vita non è più come prima".
"Se ne vada, per favore." Ed io: "Scusami, ti voglio bene!".
Rivedo il paziente in terapia. "Buon giorno, oggi è un nuovo giorno!" dico.
"Si, per quelli che sono là fuori. Io, invece, sono arrivato alle 07,30 ed ora all'alba delle
11 sono ancora qui. Vorrei morire, o, meglio, vorrei non essere nato.
Che senso ha questa vita, la mia vita!.
Tutto si scaglia contro di me. Dio non esiste.

E’ la fine di tutto. Tutto è cenere!”.
Sì, ma sotto la cenere c’è un vulcano assopito, pronto ad esplodere in un grande
“big bang”. Come sotto la neve c’è il pane che dà vita.
La vita è movimento. Non c’è vita senza movimento. Esplosioni ed implosioni.
E tutto si muove in uno stridio di forze e dolori. Capire il senso della sofferenza!

E’ una porta stretta che dobbiamo attraversare, come quando nasciamo.
Il bambino venendo al mondo, la prima cosa che fa è piangere. Non perché
gli manca l'affetto, il cibo o il calore, ma, inconsciamente, sa di venire a morire.

Stava così bene nella pancia della mamma!
"Sono nove mesi che vado avanti col folfox, quando potevo stare con i miei amici".
"E già, perché qui siamo tutti nemici!", ribatto. "Tutti siamo malati! Anche quello che
va allo stadio col coltello in tasca! E dice che sta bene!". "Si, ma quello è pazzo!", mi dice. Siamo malati tutti!
La donna che partorisce nel dolore, poi si concede ad un nuovo
atto d'amore per una nuova creatura. “Ab origine”, siamo malati!

Le spine non offuscano la bellezza delle rose, ma il profumo delle rose inebria il dolore. L’Amore è il lubrificante. E’ la forza che dà speranza e trasforma la paura in fiducia.
Non è coraggioso colui che parte e va, ma colui che pur avendo paura osa fare un passo dopo l’altro.
Il sofferente si rinvigorisce, si aiuta e si fortifica; trova nuovo impeto di vita. Come la pioggia scende giù dal cielo e non vi ritorna senza irrigare e far germogliare la terra, così una carezza od un sorriso alimentano la linfa vitale.
Ma tu, come fai ad essere così buono? Come ti chiami?”. Mi chiamo Tonino e tu?”.
“Mi chiamo Pascal. Sono un barbone. Qui mi fanno sentire un uomo, sono considerato e rispettato. Le pareti bianche di questa stanza io le vedo azzurre con tanti angeli che mi svolazzano intorno.
Il pavimento lo vedo trasparente e, sotto, un dirupo,
in cui vorrei precipitare, ma non riesco, perché voi mi fate volare.
Mi sento un angelo!” “Ma sei vivo e vegeto e stai parlando con me”.
“Si, ma tu, che hai il camice bianco, sei un medico o un prete?”.
“No, sono un volontario. E sono qui. Con questi nuovi amici: sinceri, spauriti
e fiduciosi. Che credono in queste strutture, nelle terapie, nei medici e nei miracoli. Amici che ora assaporano la bellezza della vita, che inteneriscono con la loro mestizia. Che vogliono dire chissà che cosa e le parole del loro vissuto si mescolano con la polvere dell’oblio. I loro occhi spiritati fanno melina col nostro sorriso. Parlano e dicono.
E dicono tutto delle loro vicende. Ti invitano a bere qualcosa e, oltretutto, ti sono grati per aver trascorso momenti di vera umanità. Si può anche giocare o vestirsi da clown. Si fortificano con la presenza di chi è loro più caro o più prossimo.

E questo è Barabba, il ladrone: Plurilaureato, manager da seicentomila euro l’anno. “Ho avuto tutto: Donne, viaggi, sfizi vari. Ma non vivevo!
Ero ottuso, immerso nei numeri, nei risultati economici e nelle statistiche. Sfrecciavo in auto e non mi
rendevo conto di ciò che mi circondava. Ora vivo!
E’ come si fosse squarciato un velo nel mio cervello. Avverto di avere altri occhi, un nuovo udito e un altro naso.

Mi sento come una foglia attaccata all’albero della vita! Avverto la fragilità del
mio essere, immerso nella natura e tutt’uno con essa, pur nella diversità. E’ stupenda la natura! Sento l’erba crescere, assaporo la carezza del vento e mi fermo ad ascoltare. Non raccolgo fiori nei campi e serbo rispetto. Fotografo i fiori
e, poi, d’inverno passo di là e mostro alla pianta sfogliata il suo splendore.
E le dico che è bellissima, perché ogni età ha la sua bellezza: La bellezza dell’anima.
Prima vivevo nell’ ego; ora ho dilatato la mia coscienza a tutto ciò che mi circonda. Essere goccia ed essere mare! Io pagherei per fare questa esperienza di sofferenza, non per masochismo, e non so quanti pagherebbero per farla!”.
Barabba mi ha inchiodato come un Cristo sulla croce.
L’ultima volta che l’ho visto, mi ha dato un foglio ripiegato, da leggere a casa:


La mia luce 
Quando riposerò
all’ombra della mia cenere,
avrò una nuova forza.
Frullerò ancora
il cuore della roccia.
La linfa correrà…
Esseri pieni di vitalità
e di anima
che lo Spirito sbriglierà
per i sentieri del fiume rosso.
Nel mio campo
le zolle saranno fertili
e il sudore e la pena
saranno lavati
dalle acque libere.
Nella mia terra
le messi saranno abbondanti
e tutti troveranno ristoro.
All’ombra del mio giardino
siederà solo la Luce.


L'uomo è immerso nella "dualità" esistenziale del Bene e del Male, così come tutto il creato.

Il pensare dell'uomo è parziale e relativo, come un raggio di luce, ma la sua visione è "totale", non percepita in quanto relativa, ma totale!
Si può dire, semplificando, che l'uomo è un raggio proiettato, mentre Dio è l'essenza stessa della Luce! E la Luce è la corteccia dell'Amore. La Luce si può fermare perché le tenebre non l'accolgono; l'Amore, no, perché si ciba del "buio" fino a renderlo incandescente.

L'Amore è inestinguibile perché arde di un fuoco eterno, cui Tutti siamo destinati (comunione dei santi).
Le miserie o malattie, le sofferenze e le angosce, nutrono l'Amore,
che è "l'arte di donarsi" in ogni istante, anche da moribondo. Bisogna espandersi, bisogna perdersi per ritrovarsi.
Bisogna dilatare la propria coscienza non solo al prossimo, ma a tutto ciò che ci circonda o di cui siamo a conoscenza.
Essere in "Tutto" per essere noi stessi. L'atto d'amore più grande per l'uomo è il martirio: E' la sublimazione di se stesso,
il Bene supremo. Il Male, una volta esaurita la sua forza distruttrice, diventa, a sua volta, nuovo Bene da essere sublimato. Un corpo degenerato, invalidato, vive l'esperienza della fragilità e della delicatezza di sé stesso, del soffrire e del riuscire.
Ogni corpo è in se stesso un dono, che riceve e che dà in forza dell’Amore.
Le malvagità e le angherie, gli egoismi e le usurpazioni, le violazioni e le ipocrisie incrociano questo Corpo che redime.
Un corpo in coma è un corpo che palpita in nuove esperienze: L'esperienza dello stato in luogo e non del movimento, della Luce e non del bagliore, dell'Amore e non del bene.
E' un essere che pulsa nell'aureola di altre dimensioni umane e dello Spirito.
Un corpo contorto nei meandri della sofferenza tende sempre alla Luce.
Un corpo fragile esprime tenerezza ed è caro all'Amore, che rigenera. E noi siamo la malta che edifica. Il sale della terra.
Il profumo che tende alla santità. Le malattie, le sofferenze e le angosce, nutrono l'Amore, che è "l'arte di donarsi" in ogni istante, anche da moribondo.
Camici bianchi. Sguardi puntati in occhi pieni di paura e mesti di fiducia. Angeli intorno a me. Arcobaleni. Consulti e bisturi.
Il mio corpo immolato sugli altari della medicina: Pane spezzato offerto a Dio, che da e che toglie.
Io credo che le "malattie" non debbano essere chiamate così, prendendo la radice dal male, ma "miserie", cioè Misericordie che il Buon Dio ci dona per provarci nel crogiuolo. Cirenei sulle strade del mondo ad incontrare, come tante goccioline, il mare dell’acqua cristallina delle anime sante del Paradiso.
A distanza di dieci anni, eccomi ancora a dare qualche frutto della mia stagione di vita.

Antonio Croce - Ogni stagione dà un frutto diverso Antonio Croce - Ogni stagione dà un frutto diverso Reviewed by Ilaria Cino on giugno 30, 2017 Rating: 5

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